Presentazione DheaSport

L'associazione polisportiva dilettantistica DheaSport nasce nel 2006 svolgendo attività sportive sul vasto territorio Flegreo.
Una delle caratteristiche su cui si basa il modello DheSport è il lavoro svolto quotidianamente da istruttori specializzati per l'integrazione di ragazzi diversamente abili avvicinandoli al mondo dello sport quali,il nuoto,calcio a 5,atletica leggera,sia a livello promozionale che a livello agonistico,contando attualmente un numero di circa 30 allievi.
La DheaSport è regolarmente affiliata alla F.I.S.D.I.R.(Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale) e alla F.I.N.P.(Federazione Italiana Nuoto Paralimpico) grazie alle quali partecipa annualmente a manifestazioni di carattere regionale,nazionale ed internazionale.
Infine abbiamo un gruppo di atleti di nuoto non vedenti di età compresa tra i 10 e 13 anni .

domenica 18 settembre 2011

Dispenza nuoto Paralimpico


INTRODUZIONE



   Il movimento dello sport per disabili si è evoluto in maniera sostanziale e sotto tutti gli aspetti in questi ultimi anni. Una crescita continua in termini numerici di atleti praticanti e tecnici sportivi che rispecchia una mutata concezione dell’attività sportiva in generale: più attenzione al suo valore educativo, ancor prima che ri-educativo, il riconoscimento del movimento fisico, della motricità come valore basilare per una buona qualità della vita.
   Fra le discipline praticate dagli atleti disabili la più versatile,  la più popolare e consistente come numero di aderenti è sicuramente il nuoto e ne analizzeremo i motivi più avanti nello specifico.
   Questa proliferazione ha richiesto un adeguamento degli organi federali ed una  riorganizzazione di piani e programmi di studio; notevoli sforzi sono stati fatti da esperti e collaboratori per la strutturazione di nuovi modelli e strategie didattiche, ma nonostante tutto i risultati non sono ancora del tutto apprezzabili, in quanto la latenza è stata particolarmente lunga.
   L’unificazione dei programmi, l’aggiornamento continuo, la messa a punto di nuove aree di studio, l’attenzione ai principi della comunicazione, la riorganizzazione di criteri di valutazione non sono ancora sufficienti per una più completa e qualificata formazione.
   Di qui la necessità di supportare i contenuti delle lezioni teoriche con un sussidio didattico semplice e comprensibile, a partire dalla disciplina più praticata, il nuoto. Il presente lavoro è eivedentemente ancora incompleto in quanto necessita, in una stesura successiva, di adeguamento ed omogeneizzazione dei contenuti.
  









CAP. 1


Gli allievi, le tipologie di handicap


DEFINIZIONE DI “HANDICAP”


LEGGE 104/92
(Legge quadro sull’handicap)

Estratto dall’art. 2:
E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

TIPOLOGIE DI HANDICAP


1.                FISICO – Deficit o menomazioni a carico dell’apparato locomotore che limitano in modo rilevante la capacità di movimento

2.                PSICHICO  
a)     ritardi mentali e/o disturbi di relazione che si determinano alla nascita o in età evolutiva
b)    disturbi psichiatrici

3.                SENSORIALE
a)     Non vedenti
b)    Non udenti


DEFINIZIONI DI USO COMUNE


“Handicappato”

“Disabile”

“Diversamente abile”



L’organizzazione mondiale della sanità ha adottato a livello internazionale la definizione “handicapped”
La Regione Marche (ad esempio) ha deliberato la definizione “disabile”
A nostro parere il termine “handicappato” ha assunto negli anni un valore vagamente dispregiativo, mentre la definizione “diversamente abile”-  o la sua contrazione in “diversabile” – è un eufemismo al confine con la mistificazione.
Senz’altro da preferire il termine “disabile”, che è anche quello comunemente più usato.

   La suddivisione in handicap “fisico”, “mentale” e “sensoriale” è funzionale alla strutturazione dell’attività sportiva agonistica adottata dal Comitato Italiano Paralimpico, ex Federazione Italiana Sport Disabili.
   Il CIP definisce attività agonistica quella svolta da atleti con handicap motorio (fisico), da atleti DIR (con disabilità intellettiva e relazionale) provvisti di certificazione apposita e idoneità annuale agonistica e infine da atleti non vedenti o ipovedenti. Gli atleti non udenti aderiscono ad una organizzazione nazionale che attualmente non fa parte del CIP.
   A fianco del settore agonistico c’è il settore promozionale, che comprende tutti gli atleti DIR che non possiedono la certificazione agonistica; in termini numerici questi ultimi rappresentano la stragrande maggioranza degli atleti disabili.






HANDICAP SENSORIALI
(da considerare in relazione alle particolari modalità di apprendimento e comunicative)

SORDITÀ


   La sordità non è solo assenza di udito, essa impone un ripensamento delle norme della comunicazione e dell’utilizzo del corpo in società.
   Gli apprendimenti nei soggetti sordi veicolano attraverso il canale visivo-gestuale e non mediante quello audio-vocale.
   Il sistema usato per le relazioni e le conoscenze è quello “GLOBALE”.

CECITÀ


   La cecità non è solo assenza di vista, essa impone un ripensamento delle norme della comunicazione e dell’utilizzo del corpo in società.
   Gli apprendimenti nei soggetti ciechi veicolano attraverso il canale uditivo e il canale tattile.
   Il sistema usato per le relazioni e le conoscenze è quello “ANALITICO”
   È assolutamente errato credere che il bambino cieco sia un bambino a cui manca l’organo della vista, ma che nel compenso funziona e si sviluppa come ogni altro bambino vedente; è invece opportuno considerare che le modalità che questo bambino ha a disposizione per raggiungere lo stesso stadio evolutivo del bambino vedente sono di gran lunga diverse e più complesse.
    Pertanto il rapporto conoscitivo e la vita di relazione del bambino cieco si sviluppano con caratteristiche completamente diverse da quelle del vedente.



NUOTO E RIABILITAZIONE IN ACQUA
Dalla terapia allo sport

L’ambiente acquatico è particolarmente adatto a svolgere una funzione di tramite fra la riabilitazione terapeutica e lo sport, vista la grande valenza rieducativa dell’acqua e del nuoto, che può avere effetti notevoli in vari settori dello sviluppo globale della persona.
Già l’aspetto fisiologico è particolarmente gratificante: gli aspetti positivi dell’immersione completa in acque calde (fra i 30° e i 35°) sono uno dei grandi vantaggi dell’idroterapia; la temperatura dell’acqua favorisce la circolazione e facilita la guarigione di danni ortopedici temporanei. Inoltre facilita il rilassamento muscolare ed incoraggia ad esplorare ulteriormente il movimento in acqua; è così possibile migliorare il tono posturale ed incoraggiare un movimento più normale.
La mobilità ed il potenziale movimento di persone disabili possono essere incrementati dall’acquisizione di una migliore capacità di rilassarsi, unita alla riduzione degli effetti della gravità. Tale riduzione comporta anche una minore resistenza ai movimenti globali del corpo: nuotatori con paralisi cerebrale ad esempio vedono aumentata la loro gamma e ampiezza di movimento.
Il fatto di immergersi in una vasca e praticare il nuoto dà la possibilità di lasciare per qualche ora stampelle, tutori e carrozzine. La liberazione da questi ausilii, associata all’aumento di mobilità, fa provare un senso di libertà ed euforia notevoli.
Dal punto di vista neuromuscolare il disabile nuotando muove ed esercita muscoli che non sapeva nemmeno di avere, coinvolgendoli in maniera più spontanea rispetto a come farebbe per qualsiasi esercizio a secco, come avviene anche a persone normodotate.
L’acqua poi offre un ambiente primigenio, ludico, multidimensionale particolarmente adatto ad intensificare la coscienza di sé e del proprio corpo, nel quale sperimentare nuove forme di movimento. A livello sociale il nuoto offre al massimo grado la possibilità di rapportarsi o competere ad armi più ”pari”, l’acqua livella le differenze motorie, “normalizza”.
 Il principio di piacere, che di fatto regola i nostri impulsi e le nostre emozioni, e la sensazione fisica del successo contribuiscono enormemente a fare dell’acqua un ambiente privilegiato a tutti i livelli, da quello organico e neuromuscolare a quello emozionale e sociale.
Da un contesto inizialmente riabilitativo o di integrazione sociale è opportuno, nei tempi adatti e di concerto con le famiglie, proporre il passaggio all’attività sportiva vera e propria, nell’ottica del superamento della condizione di per sé invalidante di “malato medicalizzato” da riabilitare vita natural durante.





CAP. 2


Elementi di psicopedagogia e di metodologia didattica,
il ruolo del tecnico



Dalla metà del secolo scorso in poi sono stati fatti grandi passi avanti nella concezione e nella percezione della disabilità. I primi disabili sportivi apparivano come mutanti in un mondo dominato dal pietismo e dal pregiudizio. Oggi l’attività sportiva agonistica ha raggiunto i più alti livelli sia sul piano tecnico-atletico che su quello psicologico e sociale, tant’è vero che anche il doping si sta diffondendo fra gli atleti disabili top-level, attratti dagli sponsors e dalle possibilità di acquisire fama e lauti guadagni. Ciò a riprova del grande potenziale “normalizzante” che ha lo sport.
Occorre quindi approfondire la riflessione sulle strategie o metodologie didattiche da mettere in essere, al fine di indicare un approccio moderno e corretto per l’avviamento di persone disabili alla pratica sportiva.
Iniziamo con il considerare in generale le linee guida della didattica, valide universalmente, per poi passare alle specificità in relazione alle varie tipologie di handicap.

Dai modelli statici e descrittivi degli anni ’60 e ’70, con la figura dell’istruttore/addestratore, la didattica ha compiuto grandi progressi spostando il fulcro dei processi sulla figura dell’allievo e sulle modalità dell’apprendimento. Ormai tramontata definitivamente la didattica intesa come trasmissione di un modello statico, travaso di sapere da un contenitore pieno (il maestro) ad uno vuoto (l’allievo), si afferma la didattica intesa come veicolazione di un processo, esplorazione guidata di un nuovo ambiente che richiede la costruzione di azioni motorie complesse, risultanti di fattori psicologici, fisici, fisiologici ecc.
Ne è risultato un modello attivo e dinamico non più basato sull’imitazione/riproduzione del prodotto finale, bensì sulla costruzione delle azioni o atti motori, che si compie attraverso varie tappe in coerente successione, con l’adattamento alle nuove situazioni motorie, dove compito dell’insegnante è evidenziare di volta in volta i limiti percettivi o gli altri ostacoli fisici o psicologici che condizionano l’allievo e proporre gli esercizi adatti a trasformare uno schema motorio condizionato o  patologico.
L’istruttore che si doterà di tutte le conoscenze necessarie ad identificare questi ostacoli e limiti potrà aiutare l’allievo a rimuoverli; nell’insegnamento a persone disabili occorre quindi non solo conoscere gli aspetti tecnici relativi alla disciplina da insegnare, nel nostro caso il nuoto e l’ambiente acquatico, ma anche le particolarità delle varie tipologie di handicap. Senza contare che le situazioni e i vissuti personali dei soggetti, con i conseguenti adattamenti e interazioni fra danni primari e secondari comportano una casistica sterminata, praticamente infinita, ogni disabile diventa un caso a sé, da capire in relazione al suo contesto familiare e ambientale.
Tuttavia alcuni punti fermi rimangono: il primo è il rapporto tra autostima e apprendimento.
Per apprendere qualsiasi cosa, in special modo un attività potenzialmente rischiosa come il nuoto, è necessario credere in sé stessi, avere fiducia in “abilità” che fino a quel momento non sono mai state sperimentate. Considerando che molte persone disabili hanno uno scarso livello di autostima il compito dell’istruttore sarà propriamente quello di accogliere l’allievo senza eccessive richieste di performance: la consapevolezza di poter riuscire è una condizione indispensabile per la realizzazione delle proposte didattiche. Partire da proposte estremamente elementari rinforza la fiducia in sé stessi e consente l’instaurarsi di un clima didattico positivo.
Fra stato d’animo e autostima sussiste una forte interazione, le emozioni positive promuovono ottimismo e fiducia in sé stessi, che sono i presupposti per affrontare i compiti di buon grado. Creare emozioni piacevoli attraverso l’approvazione, il rinforzo, il buonumore favorisce i processi di apprendimento e di promozione dell’immagine di sé: uno stato d’animo positivo, un’atmosfera gioiosa e fiduciosa aumentano sensibilmente le possibilità di successo. Le emozioni organizzano l’informazione nella nostra mente creando una rete associativa supplementare che consente di collegare fra loro gli eventi e quindi di recuperarli molto più facilmente dalla memoria.


L'istruttore/allenatore/animatore

Il punto di svolta del processo di rinnovamento della didattica del nuoto sta nell’introduzione del “metodo attivo” di Jean Piaget nel mondo sportivo da parte di Raymond Catteau proseguito in Italia da Gabriele Salvadori ed è efficacemente rappresentato in questa citazione di Piaget:
“Il ricorso al metodo attivo esige che ogni nozione da acquisire sia reinventata dall’allievo o almeno da lui ricostruita e non semplicemente trasmessa”.
Di qui la centralità del ruolo dell’istruttore come catalizzatore di situazioni pedagogiche, più che semplice propositore di esercizi, coinvolgendo la sfera affettiva e mentale degli allievi, guidando l’insorgere dei problemi motori da risolvere e orientando le proposte, le domande e il dialogo all’interno dei gruppi.


a) Clima didattico positivo
L'istruttore deve diventare l'animatore del gruppo. Ciò che consente l'evoluzione del gruppo e in definitiva l'apprendimento delle varie tecniche natatorie è proprio l'instaurarsi di una dinamica coinvolgente e finalizzata. E' ormai risaputo che è tempo perso insistere troppo sulla correzione individuale degli errori, dato che la spinta ad apprendere è costituita dalla volontà motivata al superamento di un problema concreto.  Compito dell'istruttore è individuare secondo le varie fasi qual'è il problema dell’allievo e stimolarlo alla ricerca attiva delle possibili soluzioni, creando un clima affettivo di fiducia e di attesa positiva (vedi l'articolo di G. Salvadori "Respirare non è fare le bolle").


b) Riduzione dei tempi morti

Al fine di aumentare il tempo di azione è opportuno concentrare le informazioni e le spiegazioni  da dare agli allievi: due o tre minuti sono più che sufficienti per spiegare un determinato esercizio o per raccogliere le impressioni dopo l'esecuzione.


c) Variazione dei programmi

E' noto che è proprio la ripetizione delle attività che porta all'acquisizione di un gesto motorio. Questo però non significa che la lezione deve diventare uno stereotipo, ma che bisogna ripetere variando continuamente le condizioni e le modalità di esecuzione, con o senza sussidi didattici, in quanto è proprio la ricchezza di situazioni motorie vissute che aumenta l’abilità di esecuzione del movimento.


d) Posizione dell'istruttore sul bordo vasca

L'istruttore si avvicina agli allievi quando parla e spiega in modo di non alzare la voce e di creare un clima affettivo positivo.
Quando gli allievi provano occorre che si porti ad una certa distanza, sia per osservare meglio che per non far sentire in maniera troppo opprimente la sua figura.
E' bene non interrompere continuamente la prova dell'allievo anche se continua a sbagliare: meglio fargli terminare la vasca dopo di ché gli spieghiamo l'errore cercando di correggerlo; in uno stato d'animo più sereno recepirà le indicazioni dell'istruttore invece di subirle.



LE MOTIVAZIONI ALLA PRATICA SPORTIVA

 E IL RUOLO DELL’INSEGNANTE



INSEGNARE = MOTIVARE AD IMPARARE

L’insegnamento sportivo non si discosta nelle sue linee fondamentali da qualsiasi altro tipo di insegnamento. Ma occorre sfatare un luogo comune purtroppo ancora molto diffuso:
“L’insegnante sa… quindi insegna, l’allievo non sa… dunque impara”.

Sembrerebbe che si verifichi un travaso di “sapienza” dalla mente piena a quella vuota, la quale riceve le “conoscenze” da chi le possiede. Non è così.
In realtà nella mente di chi apprende avviene un processo del tutto personale di ricostruzione dell’esperienza, in base al quale i concetti vengono adattati e risistemati sulle strutture preesistenti della memoria. Nessuno apprende la stessa cosa allo stesso modo, anche se la fonte ed il contesto sono identici.
         L’apprendimento è un processo attivo e costa fatica, impegno, applicazione. Molto spesso è sufficiente la naturale curiosità a far scattare la molla; altre volte fattori interni o esterni possono comportare l’inibizione dell’istinto umano naturale che spinge ad esplorare, osservare e imparare cose nuove.
         Pensiamo ad esempio a bambini con un handicap, che hanno visto regolarmente frustrati i loro tentativi di imparare movimenti nuovi, giochi, relazioni nuove. Con loro l’insegnante deve avere una marcia in più: deve dar loro un motivo molto valido per spingerli a fare un tentativo laddove tante volte hanno già fallito.

Alla base di qualsiasi processo di apprendimento è la:

MOTIVAZIONE < MOTIVUS < MOVERE (movente, mobile, muovere, ciò che muove a fare)

I BISOGNI: la tensione al loro soddisfacimento provoca un > movimento verso   (Bouet)

1)    Il bisogno di movimento        - innato in ogni persona
2)    L’affermazione di sé     - necessaria per esistere in quanto individuo
3)    La compensazione                  - bisogno di “compensare” delle carenze
4)    L’aggressività               - bisogno di esprimerla e canalizzarla
5)    L’affiliazione sociale     - bisogno di appartenenza ad un gruppo

IL GIOCO: la preparazione alla vita
LO SPORT (gioco ritualizzato e codificato): la palestra della vita


L’AMBIENTE SPORTIVO  -  LA PISCINA

Rispetto all’ambiente scolastico tradizionale con le sue aule, cattedre e lavagne l’ambiente di un impianto natatorio può risultare senz’altro più accattivante, la vista dell’acqua è di per sé affascinante e induce un’immagine di ricreazione e divertimento. D’altra parte occorre considerare altri fattori come il rumore, l’odore di cloro, il pavimento sdrucciolevole e non ultima, la paura dell’acqua. A conti fatti il primo impatto potrebbe anche non essere del tutto idilliaco, ma come l’istruttore di nuoto ben sa, l’elemento acqua è dalla sua parte per aiutarlo a conquistare l’attenzione e la fiducia dell’allievo.



IL RUOLO DELL’INSEGNANTE SPORTIVO


Dare una risposta ai bisogni dell’allievo facendo leva:

1)    sulle grandi possibilità ludiche e di movimento offerte dall’ambiente acquatico
2)    sul desiderio di contatto stimolando la socializzazione
3)    sull’assenza di aspettative immediate sulla performance richiesta (chi ha un livello di autostima basso viene inibito dall’atteggiamento esigente dell’istruttore)

INSEGNAMENTO = ESPLORAZIONE GUIDATA

Creare delle situazioni didattiche e poi guidarle senza forzare, in atteggiamento di disponibilità per suggerire, indicare e incoraggiare al momento opportuno. Il vero apprendimento sta nelle piccole grandi scoperte dell’allievo, non in quello che gli diciamo di fare.


LE REGOLE

L’atteggiamento di accoglienza non significa assenza di disciplina: le norme che regolano l’accesso a un impianto vanno fatte rispettare, senza rigidità ma con fermezza. Questo vale naturalmente anche per le norme della pacifica convivenza in un gruppo e del rispetto interpersonale, con l’elasticità che i singoli casi impongono.


LE DINAMICHE


NEL GRUPPO

IL LIVELLO DI ASPIRAZIONE E L’AUTOSTIMA
E’ costituito dall’insieme di aspettative che il bambino si crea sulle capacità che ritiene di avere nell’eseguire un compito nel gruppo. La percezione di questo livello è fondamentale ai fini della aggregazione spontanea, che si realizza solo tra diversi individui che mettano in atto situazioni ludiche con un livello di aspirazione condiviso (il gruppo “omogeneo”).
Il livello di aspirazione è quindi strettamente collegato al livello di autostima, alla percezione del “potercela fare” in quel dato gruppo

IL GIOCO (il successo e l’insuccesso)

La situazione ludica permette l’inserimento di soggetti insicuri e con poca autostima, consentendo l’adesione di questi ultimi al livello d’aspirazione del gruppo, che li rassicura relativamente alle probabilità d’insuccesso; questo tenendo sì conto dei successi individuali ma senza farne oggetto di confronto competitivo, per non escludere i meno capaci

NEL RAPPORTO INDIVIDUALE

q  Trovare la giusta distanza (vicinanza) rispetto all’allievo
q  Individuare il background dell’allievo, capire dove fare leva per far scattare la motivazione
q  Agganciarsi nel dialogo a temi e vissuti concreti da condividere con l’allievo
q  Primo approccio del tutto privo di richieste di performance



L’HANDICAP MENTALE: NOTE GENERALI  PER LA REALIZZAZIONE DI UN APPROCCIO DIDATTICO EDUCATIVO

- La persona con handicap mentale non “ha” un handicap, ma “è” coinvolto nella sua globalità, nel suo io, da disturbi percettivi, motori, di pensiero, di relazioni e di emozioni. Non può “guardare” il suo handicap come fa il disabile fisico, quindi prenderne le distanze oggettivandolo e attuando meccanismi compensativi.
- Nel suo essere un tutt’uno con le sue problematiche è comunque un uomo, una donna come noi, con tutte le caratteristiche che ci uniscono e che ci contraddistinguono come genere umano.     Comprendere e ridimensionare le differenze, collocarle nella scala dei valori e quindi trovare il giusto aiuto per soddisfare quelle esigenze comuni a tutti gli individui: di sviluppo delle conoscenze e delle capacità, di affermazione personale nella ricerca creativa, di relazioni interpersonali e di valori etici e morali 


OBIETTIVI DELLO SPORT CON DISABILI MENTALI


1.     Perché ho intrapreso l’attività sportiva con disabili mentali?
2.     Che idee ho sullo scopo della mia attività?
3.     Che cosa si aspetta da me l’handicappato mentale nell’insegnamento sportivo?
4.     Come devono comportarsi i disabili mentali nei miei confronti?
5.     Che cosa significa per me doversi assumere delle responsabilità, che conseguenze comporta?
6.     Quali sono le situazioni nell’insegnamento che io vivo come particolarmente stimolanti e quali come specialmente improduttive?

L’OBIETTIVO CONSISTE NEL CONDURRE LA PERSONA DISABILE AD OTTENERE LA MAGGIORE INDIPENDENZA E AUTOREALIZZAZIONE POSSIBILE, IN VISTA DI UNA VITA SOCIALE PIU’ COMPLETA

Attraverso:

-         il piacere alla pratica sportiva
-         le occasioni di successo
-         il reciproco aiuto tra gli atleti
-         un contesto “normalizzante”
-         lo spirito di gruppo


Principi didattici di base per l’apprendimento:
gradualità – consequenzialità – consolidamento

Strutturazione della lezione, attribuzione di compiti di aiuto o di sicurezza



PRINCIPI DIDATTICI GENERALI

-         Il principio di piacere: la gioia del movimento, l’istruttore come guida in un nuovo mondo: la dimensione acquatica
-         La costruzione di una relazione interpersonale positiva e significativa
-         L’appartenenza a un gruppo secondario, dopo la famiglia
-         Il rinforzo positivo, l’incoraggiamento
-   La percezione di un sé vincente
-         La dinamica “bastone e carota”, le punizioni e i premi, si può adottare? In quali casi? E’ efficace sul lungo periodo?

UNO SCHEMA DI LAVORO:

A)  Quali sono i desideri dell’allievo?
B)   Quali difficoltà incontra?
C)   In cosa è riuscito bene precedentemente?
D)  Qual è la sua attuale condizione?

In base alle risposte che possiamo darci scegliamo inizialmente un obiettivo minimo, raggiungibile nell’arco di pochi mesi


Le dinamiche di gruppo

 



Il gruppo

Insieme di persone che si percepiscono in reciproca interazione all’interno di una rete di relazioni più o meno formalizzate rispetto ad un fine  (obiettivo comune ).

Un gruppo si forma per soddisfare i bisogni dei suoi membri; nel corso dell’interazione i membri elaborano una ideologia di gruppo, che regola i loro atteggiamenti e le loro azioni e influisce sul loro soddisfacimento.

In ogni gruppo le posizioni i ruoli ed i poteri dei membri si differenziano e si organizzano in un sistema – la struttura del gruppo – che influisce sul funzionamento del gruppo e sulla soddisfazione dei suoi membri.

 







 




 

 

 

 

 

CAP. 3

 



ORGANIZZARE L’ATTIVITA’ NATATORIA PER DISABILI




I RAPPORTI CON GLI ENTI


n   Dallo spontaneismo alla strutturazione di un Servizio di attività natatoria istituzionalizzato

 

Sino agli anni ’80 l’attività natatoria per disabili in Italia si è svolta in un numero minimo di impianti sportivi e per lo più a livello pionieristico e con molto pressappochismo. Grazie alla disponibilità  di qualche istruttore, che ha preso a cuore la situazione di persone disabili alla ricerca di alternative alle terapie riabilitative tradizionali, sono cominciate a nascere le prime società sportive con lo scopo precipuo di avviarle al nuoto anche agonistico.
Ma il vero salto di qualità è avvenuto con la stipula delle prime convenzioni con le ASL e con i Comuni, che hanno consentito l’attivazione di veri e propri servizi istituzionali ai quali si può accedere di diritto e non raccomandandosi a quell’istruttore o a quella società sportiva.
A tutt’oggi il panorama è ancora assai variegato nonostante si siano fatti grandi passi avanti in questa direzione: ancora non esiste un modello, un ente unico di riferimento, poiché non è ancora ben chiaro se della materia se ne debbano occupare le Amministrazioni Comunali, dal punto di vista sociale, intesa l’attività sportiva come forma di socializzazione o fruizione del tempo libero, oppure se sono le ASL che dovrebbero farsene carico, dato che risparmiando risorse da destinare alla riabilitazione sanitaria potrebbero destinare dei fondi alle società sportive, come di fatto avviene in diverse località. A completare il quadro c’è poi l’intervento delle Regioni o delle Province, che negli ultimi anni stanno stanziando fondi con leggi specifiche a favore di questa attività, come le Marche, il Veneto, la Calabria, l’Abruzzo ecc.

 

n   Il servizio aggiuntivo di trasporto e assistenza


Molte famiglie con persone disabili non deambulanti non hanno le possibilità di attrezzarsi per il trasporto in piscina. In questo caso subentrano ancora una volta una pluralità di soggetti nello svolgimento di questo servizio, che naturalmente comprende anche l’assistenza durante il trasporto e la svestizione e vestizione negli spogliatoi: dai Comuni agli Enti benefici alle Società Sportive stesse, le quali con grande sforzo economico devono dotarsi di mezzi attrezzati al trasporto per disabili.
Ai fini di una frequenza alle lezioni regolare e costante questi servizi risultano indispensabili.


n   La collaborazione dell’ASL    competenza sanitaria


Vista la complessità delle varie tipologie di handicap, e in special modo delle disabilità mentali, è auspicabile la stretta collaborazione con i responsabili delle Unità Multidisciplinari per l’età evolutiva e per l’età adulta delle ASL di riferimento. Le famiglie non sono sempre in grado di fornire un quadro esauriente delle patologie, inoltre nello svolgimento dell’attività emergono spesso problematiche e dinamiche complesse di fronte alle quali un istruttore di nuoto, per quanto sensibile ed attento, può trovarsi in serie difficoltà.


n   I regolamenti per la concessione degli spazi acqua (gratuità?)


Ai costi dell’istruzione, del trasporto e dell’assistenza si vanno ad aggiungere i costi degli spazi acqua utilizzati per lo svolgimento dell’attività. Anche qui in ogni impianto natatorio vigono le norme più disparate: dagli spazi dati in concessione gratuita sino al pagamento della tariffa piena.
Una soluzione che appare equa potrebbe essere l’applicazione di tariffe ridotte, così come avviene nel caso dei gruppi scolastici.

n   L’associazionismo: la costituzione di una società sportiva 


Due sono le possibilità, ambedue valide, per chi volesse avviare un servizio di attività natatoria per disabili: affiliare anche al CIP (Comitato Italiano Paralimpico) una società sportiva preesistente o costituire ex novo una società sportiva per disabili e affiliarsi al CIP.
Gli organi periferici del CIP, Comitati o Delegazioni Regionali e/o Provinciali dispongono di Statuti tipo da fornire come fac-simile e possono dare tutte le informazioni al riguardo.

n   I rapporti con le altre associazioni (A.n.f.f.a.s., centri di riabilitazione, Croce Rossa o Verde, Associazioni di genitori, volontariato e servizio civile)

 

L’integrazione con tutte le realtà che gravitano attorno alle persone disabili consente di attivare collaborazioni importanti e proficue. Scambi e iniziative comuni servono ad incrementare la costruzione di una rete di servizi dai quali in definitiva dipende la qualità della vita sul territorio.




LA FORMAZIONE DEGLI ISTRUTTORI

n  I corsi del C.I.P.


Si è tenuto a Desio (MI) nel 1994 il primo corso nazionale per Formatori CIP del nuoto con 13 equipes provenienti da altrettante Regioni italiane. Il Riconoscimento da parte del Consiglio Federale dei Centri Pilota abilitati alla formazione di Istruttori di nuoto CIP (allora FISD) giunge nel marzo 1995. Attualmente operano in Italia 9 Centri Pilota abilitati, i recapiti si possono richiedere al Centro Studi del CIP a Roma.

I requisiti per accedere alla qualifica di Istruttore tecnico di nuoto CIP sono i seguenti:

-         diploma di Laurea in Scienze Motorie

-         brevetto di Istruttore della FIN (Federazione Italiana Nuoto)
-         diploma di terapista della riabilitazione
-         essere atleti di Interesse Nazionale CIP
I corsi hanno una durata di 60 ore e comprendono una parte teorica e una parte pratica.

n  La convenzione C.I.P. – FIN


Dopo lunga e travagliata gestazione ha finalmente visto la luce il 14 giugno 2005 la convenzione fra il Comitato Italiano Paralimpico e la Federazione Italiana Nuoto. Questo storico accordo consentirà una proficua collaborazione a tutti i livelli, dalla diffusione dell’immagine e della cultura del CIP alla stesura dei regolamenti, dalla partecipazione alle manifestazioni agonistiche integrate alla formazione tecnica e ai giudici di gara. Visionabile sul sito del CIP: www.fisd.it.

n  La formazione interna

 

Altrettanto importante, dopo aver conseguito la qualifica di istruttore tecnico di nuoto CIP, è l’aggiornamento continuo che i tecnici possono svolgere all’interno delle società sportive.

Ogni staff di istruttori dovrebbe strutturare dei momenti di incontro, riunioni tecniche, seminari al fine di ottimizzare il lavoro, aggiornarsi, scambiare esperienze significative.








PROBLEMATICHE SUL PIANO OPERATIVO



n  Le controindicazioni all’attività natatoria: il problema dell’incontinenza


L’incontinenza, ovvero il mancato controllo degli sfinteri, rappresenta l’unica vera controindicazione all’attività natatoria per un allievo disabile; occorre sincerarsi con tutto il tatto e la delicatezza del caso se si è in presenza di questo problema, che è risolvibile solo parzialmente con le mutandine contenitive. I colibatteri non vengono eliminati dalla clorazione e se superano la soglia la vasca va svuotata immediatamente, con tutte le problematiche anche economiche a cui va incontro la gestione dell’impianto.
Esistono inoltre casi di persone con un handicap psicofisico talmente grave (o handicap multipli) per cui l’attività può essere svolta solo in strutture dedicate, con vasche idroterapiche di piccole dimensioni.

-         Quando interrompere l’attività?

L’attività natatoria non è un trattamento a cui la persona si sottopone in forma passiva, bensì presuppone la volontà attiva del soggetto. Sta alla sensibilità del tecnico capire quando questa volontà viene a mancare e per quali motivi. Se alla base c’è un problema di rapporto compromesso con l’istruttore occorre valutare se è il caso di cambiare figura di riferimento. Ad ogni modo bisogna assolutamente evitare qualsiasi forma di forzatura, nuotare deve sempre e comunque essere un’attività liberamente scelta.

n  Le barriere architettoniche


Ormai quasi tutti gli impianti natatori hanno eliminato (o risolto almeno in parte) le barriere architettoniche presenti, consentendo l’accesso all’utenza disabile. L’entrata e l’uscita dalla vasca rimangono comunque momenti delicati, dove occorre prestare molta attenzione per evitare piccoli o grandi incidenti. Ad esempio è utile ricordare che se un ragazzo paraplegico si procura un’escoriazione sfregando con la parte bassa della schiena sul bordo vasca, riporterà una ferita difficile da rimarginare per la posizione seduta che normalmente mantiene.

n  Le barriere socio – culturali


Anche le barriere più subdole e persistenti, quelle dei pregiudizi, sono cadute o stanno cadendo.
La percezione dell’handicappato visto come persona “malata” e da evitare, almeno nello stretto contatto, è quasi definitivamente tramontata. Al contrario vengono sempre più apprezzati anche dal grande pubblico quegli impianti che si sono dotati di uno staff in grado di svolgere professionalmente un’attività natatoria per disabili.

n  l’integrazione con le altre attività all’interno dell’impianto natatorio


Non presenta problemi di sorta, a condizione che non si verifichino episodi di incontinenza, sui quali bisogna vigilare e soprattutto prevenire.

n  Gli orari di svolgimento dell’attività

 

Nella maggioranza degli impianti, pubblici o privati che siano, gli orari dedicati a questa attività sono quelli della fascia mattutina, principalmente perché sono meno richiesti e affollati, ma anche perché, nel caso di disabili adulti provenienti da Centri Diurni di Riabilitazione, sono le ore del mattino le più indicate a svolgere un’attività fisica impegnativa.
I problemi arrivano quando consideriamo bambini e ragazzi disabili in età scolare, che ovviamente hanno solo il pomeriggio a disposizione per svolgere l’attività natatoria. Al pomeriggio gli spazi sono molto richiesti e i gestori non hanno nessuna voglia di cedere corsie gratis o sottocosto, per cui occorre affrontare mediazioni a volte ardue per ottenere uno spazio appena sufficiente.

Sicurezza e responsabilita’


 

PREVENZIONE:

n  1.    Evitare di dare compiti superiori alle forze degli sportivi

n  2.   Posizione di controllo dell’istruttore: che abbraccia con un  colpo d’occhio tutti gli allievi

n  3.   Attrezzatura sportiva idonea

n  4.   Organizzazione dei tempi marginali come l’inizio e la fine della lezione

n  5.  Evitare un controllo troppo stretto, asfissiante, favorire invece la presa di coscienza guidata agli eventuali pericoli


Osservazione:

n  Il confronto con le situazioni di pericolo, la sfida, il superamento dei propri limiti, sono proprio questi i momenti che rendono interessante l’esercizio dello sport.

n  Acquisire una certa sicurezza nell’affrontarli può aiutare ad evitare incidenti gravi in altre situazioni.

 

 

SCHEDA


GLI EVENTI TRAUMATICI: COME SUPERARLI?



Nozione comune 

Infortunio    =      in – fortunio     =   relazione di casualità  

Interpretazione psicoanalitica

Incidente     =     atto mancato    =     relazione di causalità

                                                                                                                      ¯

                                                                                    blocco fisico che copre un blocco psichico

 

Il trauma comporta una perdita, per compensarla si attraversano varie fasi, come nell’elaborazione di un lutto

1.                  Ansia e negazione

2.                  Rabbia, frustrazione

3.                  Depressione

4.                  Accettazione / Rassegnazione

5.                  Speranza / Ricerca di una nuova identità   (lesione permanente)

 

Intervento di figure di sostegno:

lo psicologo,  l’insegnante,  il tecnico sportivo

 

a creare un clima di sostegno per scoprire cosa c’è oltre il limite

attraverso  la  COMUNIC-AZIONE

e l’ EM-PATIA  =  stesso pathos  =   condivisione delle emozioni

 




CAP. 4

L’insegnamento del nuoto


Disabilità motorie



Il primo approccio con l’ambiente acquatico rappresenta per qualsiasi allievo, piccolo o grande disabile o no, giovane o anziano, un momento fondamentale per lo sviluppo futuro dell’attività natatoria. Per quanto su questa prima fase, l’ambientamento, vi siano abbondanti esempi in letteratura, ad esempio i manuali della Federazione Italiana Nuoto, che negli ultimi anni ha rimodernato in maniera sostanziale il proprio Settore Istruzione tecnica, riepiloghiamo per punti alcuni passaggi essenziali:

-         Entrare in relazione significativa. Il rapporto con l’istruttore inizia non appena c’è il contatto, sia che ciò avvenga in segreteria, nell’atrio della piscina o negli spogliatoi. Sin dal primo momento occorre considerare, guardare, ascoltare soprattutto l’allievo disabile, anche se è presente un genitore o un accompagnatore che tende a spiegare, raccontare, chiedere sovrapponendosi nel colloquio. In separata sede l’accompagnatore potrà e dovrà fornire le informazioni indispensabili per avere un quadro della situazione. Socializzare negli spogliatoi, mettere a proprio agio l’allievo, agire senza fretta, sono tutti elementi fondanti per un rapporto di fiducia che è il presupposto dell’apprendimento.
-         Temperatura dell’acqua. Specialmente nel caso delle cerebrolesioni, ma anche negli altri casi di disabilità motoria, è necessario che l’acqua non abbia una temperatura inferiore ai 28°. L’azione, il movimento producono calore: è evidente che qualora il movimento sia ridotto il corpo non riesca a scaldarsi a dovere. La temperatura ideale è intorno ai 30°.
-         Presenza dell’istruttore in acqua. Tranne che nelle casistiche veramente lievi la presenza dell’istruttore in acqua consente di “rompere il ghiaccio”, superando difficoltà motorie iniziali spesso insormontabili. Starà poi alla sensibilità dell’istruttore capire quando deve arrivare il momento dello “svezzamento”. Essendo l’autonomia in acqua uno degli obiettivi principali dell’attività può essere deleterio prolungare oltre misura questo periodo.
-         Flessibilità dell’approccio didattico. Forse una delle frasi più ricorrenti nell’ambito dell’insegnamento a persone disabili è: “Ogni disabile è un caso a sé, non esiste un metodo”. Questo è in parte vero, a causa della molteplicità delle casistiche. Ciò che è sicuramente vero è che un modello univoco e universale non esiste, l’istruttore deve essere mentalmente preparato a variare registro comunicativo e strategia didattica a seconda della risposta che riceve dall’allievo. L’unica regola è: iniziare da azioni o giochi conosciuti dall’allievo per non demotivarlo sin dalla prima lezione.
-         Sussidi didattici. Purché non se ne abusi esistono dei sussidi galleggianti veramente utili in fase di ambientamento, come i tubi o salsicciotti, le cinture, i collarini per evitare l’iperestensione del capo nei cerebrolesi e anche i classici braccioli. Anche i tappetini di materiale espanso, di varia foggia e misura, possono servire per variare le posture o le proposte didattiche. Fondamentale però non fossilizzarsi nell’uso di questi materiali.

VANTAGGI DELL’ATTIVITA’ NATATORIA

I principali effetti si riscontrano sul piano fisico e sul piano psico-sociale. Dal punto di vista fisico si ottiene:

a)     Riduzione della spasticità
b)    Riduzione del dolore
c)     Aumento del grado di ampiezza di movimento delle articolazioni
d)    Più tono muscolare
e)     Maggior equilibrio e facilitazione delle reazioni posturali
f)      Facilitazione organizzativa del cammino e delle altre attività funzionali e ricreative
g)     Incremento potenziale delle condizioni fisiche generali

Notevoli risultati si riscontrano nell’aspetto psico-sociale del soggetto. Notiamo infatti che si migliorano nettamente l’aspetto motivazionale con conseguente incremento delle capacità di apprendimento, comprensione, concentrazione e soprattutto l’aspetto relazionale in cui il disabile rivaluta le proprie potenzialità incrementando la fiducia in sé stesso.


IL PERCORSO IN SINTESI



1)     AMBIENTAMENTO – ACQUATICITA’

Elaborazione stimoli sensoriali, esplorazione, percezione visiva, uditiva, tattile e olfattiva.
Attività ludica finalizzata al coinvolgimento dell’allievo con il proprio istruttore.
Educazione respiratoria.
Controllo delle tre componenti: equilibrio, respirazione, propulsione.

2)     PROPOSTE DI DEAMBULAZIONE – EQUILIBRIO VERTICALE

A)  Vincolati all’istruttore
B)   Con ausilii
C)   In autonomia
D)  Con variazione delle difficoltà. Turbolenze.

3)     PROPOSTE DI EQUILIBRIO – GALLEGGIAMENTO

                    A) Ventrale con passaggi posturali
B)   Dorsale con passaggi posturali
C)   Rotazioni, avvitamenti dx e sx
D)  Rotazioni combinate

4)      PROPOSTE DI PROPULSIONE – PEDAGOGIA DELL’AZIONE

A) Arti inferiori / superiori    - con l’aiuto dell’istruttore
B) Coordinazioni combinate  - con ausilii
C) Passaggi posturali             - in autonomia



L’attività motoria/natatoria con bambini con PCI


Il bambino normodotato ha a sua disposizione molti mezzi per manifestare il proprio dissenso, mentre il bambino con PCI piange, si spaventa e s’irrigidisce; per questo motivo deve essere manipolarlo molto lentamente, lasciandogli la possibilità di adattarsi ai movimenti che gli si fanno fare, sorreggendolo dove e quando è necessario, senza fretta, lasciandogli soprattutto il tempo di “fare da solo” ogni qualvolta ciò sia possibile.
E’ importante parlargli molto, lentamente, scandendo bene le parole, una proposta motoria per volta, ripetuta, motivata e spiegata, incoraggiandolo e lodando i successi seppur minimi (se ci sono naturalmente, perché lodarlo senza motivo potrebbe inficiare il rapporto di fiducia che si vuole instaurare).
Il progresso è graduale e nella maggior parte dei casi lentissimo (ogni bambino ha i suoi ritmi e i suoi tempi), occorre tener conto degli enormi sforzi che compie anche solo per fare movimenti semplici.
Dice H. Wallon che:  “l’esperienza passa per il corpo e l’intelligenza si costruisce nelle azioni”. Il bambino acquisisce un movimento per tentativi e per esperienza.


Le rotazioni e i passaggi posturali


Dopo aver acquisito una buona acquaticità ed un  buon galleggiamento attraverso la fase di ambientamento l’allievo non ha difficoltà ad effettuare una rotazione, anche spostando da solo le masse corporee in componente rotatoria.
Le rotazioni possono essere eseguite sia sul piano sagittale che sul piano traverso, attorno all’asse frontale ed attorno all’asse longitudinale.
Con l’aiuto dell’istruttore è possibile far effettuare all’allievo delle rotazioni guidate particolari, utilissime soprattutto per gli squilibri sul piano traverso, dovuti ad amputazioni o a patologie quali l’emiplegia. L’istruttore si pone in acqua lateralmente all’allievo, che è supino in galleggiamento dorsale.
ESEMPIO: l’allievo sposta il braccio destro dietro la schiena, con conseguente spostamento delle masse, gamba sinistra incrociata avantie sopra la destra con spostamento ulteriore del metacentro, testa in torsione laterale destra; il braccio sinistro, per effettuare la rotazione, viene portato da fuori in avanti basso, lateralmente in corrispondenza della spalla destra; quindi rotazione e ritorno al galleggiamento.
Questo esercizio serve a mettere in difficoltà estrema la componente rotatoria dell’allievo, nonché a rompere lo schema patologico per poi ritornare in una posizione corretta.
Prima si interviene sulla parte sana, dove è più facile in quanto
a)     la componente rotatoria patologica è dall’altra parte
b)    c’è un miglior galleggiamento
c)     la parte sana è più controllata
d)    è più facile realizzare il ritorno al galleggiamento supino
Con questo incrocio/rotolo, dalla parte sana, si rompe lo schema patologico agli arti superiori, anche se per breve tempo. L’esercizio viene fatto fare da entrambe le parti, in quanto si ha la manifestazione di una asimmetria rispetto ad un equilibrio che quindi risulta alterato non solo da una parte sola, ma globalmente; questo è il motivo per cui si cerca di riportarlo nella sua completezza, un’asimmetria non colpisce solo un’emisoma ma colpisce tutto il corpo.
Ad esempio, con un asimmetria di carico a destra, le stimolazioni fatte dalla parte dell’emisoma sinistro serviranno per riequilibrare il corpo; ma le stimolazioni andranno fatte anche a destra, perché prevalendo la parte destra (malata) bisognerà riequilibrarla.
E’ quindi indispensabile far eseguire questo esercizio anche dalla parte malata, che resterà, anche con l’aiuto dell’istruttore, un esercizio molto difficile. Resta un esercizio molto difficile da eseguirsi dalla parte malata, perché anche se in un primo momento interviene a favore dell’esecuzione la componente rotatoria, in una fase successiva è difficilissimo organizzare il ritorno al galleggiamento supino, dato che la componente maggiore è sempre quella della rotazione verso il fondo della vasca e dal fondo spingere verso l’alto per tornare alla prima posizione.
Quindi l’esecuzione di questo esercizio richiede una grande acquaticità, ottime stimolazioni ed un ottimo controllo della postura al fine di non rafforzare le asimmetrie; questo lo si può notare quando l’allievo, all’inizio, eseguendo l’esercizio anche solo dalla parte sana, dopo mezzo giro non riesce più a riemergere.
Dalla parte malata l’esercizio va sempre fatto fare con l’aiuto dell’istruttore in quanto è ancora più facile che l’allievo nel tentativo di esecuzione attui grosse e negative compensazioni.
Ad esempio, nel caso dell’emiplegia sinistra, il rotolo verrà fatto fare prima dalla parte sana, quindi dal lato destro, portando dietro il braccio destro e incrociando sopra avanti la gamba sinistra secondo quanto detto prima.


La deambulazione in acqua


Molto utile sia per alternare agli esercizi di galleggiamento e di respirazione che per la coordinazione e l’equilibrio in stazione eretta.
L’acqua dovrà essere sempre “T 11” del soggetto; con l’acqua a questa altezza del rachide il corpo è meno sottoposto alle leggi di gravità e si avranno perciò tutti i vantaggi di una spinta idrostatica e di un cammino da scarico, peculiarità dell’idroterapia.
Con il cammino in acqua si ha la possibilità di ridare delle simmetrie e di consentire un carico con la spinta idrostatica che fuori non è possibile dare, viene quasi del tutto abolito il problema della gravità. Ciò significa che mentre fuori dall’acqua deambulare può essere proibitivo per il problema di frenare sempre la caduta in avanti con il tallone e l’avampiede, in acqua l’allievo arriva sul tallone, “srotola” il piede, va sull’alluce e ritorna per la caduta successiva (fase di sospensione del piede). Si avrà così la reale possibilità di far caricare correttamente il tallone, l’avampiede e stimolare al massimo la flessione dorsale del piede. Inoltre, dopo pochissimo tempo che l’allievo si trova in acqua il riflesso di Babiski, per il contatto con l’acqua e inibito, per cui non avrà più lo stimolo del piede che sfrega la superficie.
E’ da ricordare che un intervento in età precoce è ottimo, poiché è possibile impostare un cammino corretto e funzionale anche per la deambulazione fuori dall’acqua.


Correzione dello schema patologico in estensione in acqua alta

Dopo le fasi di rilassamento, distensione e allungamento del rachide si potrà introdurre un galleggiamento a seggiolino con una simulazione del cammino. Questo, oltre che come ausilio è anche una possibilità natatoria se vi inseriamo il movimento delle braccia a rana, protese in avanti.
Nel caso si trattasse di un bambino, se dopo una buona fase di acquaticità si riuscisse a farlo andare sott’acqua, si potrebbe procedere con un cammino subacqueo.
Prima di fare delle proposte di cammino in acqua si possono proporre delle stimolazioni in ginocchio.
ESEMPIO: La richiesta consiste nel far portare avanti, quale arto inferiore, in appoggio sul piede, prima l’arto malato, ritorno, poi l’arto sano, ritorno e così di seguito.
Successivamente saranno introdotte delle turbolenze laterali per mettere in precarietà l’equilibrio e per l’autocontrollo della postura.


PROPOSTE NATATORIE

(Si descrivono i primi approcci al nuoto di derivazione riabilitativa; le particolarità e gli adattamenti relativi alle varie tipologie di handicap verranno approfondite nella seconda parte della dispensa incentrata sull’attività sportiva agonistica).

Dorso

Approccio in posizione dorsale, flessione delle anche e delle gambe, protrazione arti superiori per rompere lo schema patologico. Si otterrà uno pseudo-dorso con movimento pari e simmetrico delle braccia a dorso.
Per i soggetti spastici, nuotando a dorso, in seguito alla rottura dello schema patologico, il soggetto presenta una maggiore libertà natatoria e tutto ciò è ottimo anche sul piano riabilitativo.
Soprattutto per gli spastici, la distanza migliore da percorrere è rappresentata dai 50 metri e non dai 25 metri; l’allievo riesce a misurare la distanza ed a dosare le sue energie per affrontare la distanza da percorrere più consapevolmente. Misurando le sue energie su uno sforzo più prolungato in relazione alla lunga distanza l’allievo riesce a dare il meglio.
Il dorso è considerato il più facile degli stili e il suo insegnamento non presenta grandi difficoltà. Ciò è principalmente dovuto al fatto che gli allievi non sono costretti ad immergere il viso in acqua, risolvendo così non solo i problemi tecnici dovuti alla respirazione, ma anche ai problemi psicologici. Per l’insegnamento del dorso si può usare sia il metodo analitico che il metodo globale.


Metodo analitico

L’istruttore con il metodo analitico si articolerà attraverso questa successione di azioni motorie:
-         corpo raggruppato, mani sul bordo vasca e piedi appoggiati alla parete, spinta e galleggiamento con le braccia lungo i fianchi
-         dalla stessa posizione spinta e galleggiamento con le braccia in alto
-         stesso esercizio, con le braccia lungo i fianchi e battuta gambe
-         stesso esercizio, braccia in alto e battuta gambe
-         stesso esercizio, ma dopo la spinta iniziale, con la battuta gambe anche un accenno di bracciata
-         stesso esercizio completando l’accenno di bracciata con un tentativo di bracciate alternate
-         stesso esercizio effettuando delle bracciate alternate partendo dalla posizione di braccia lungo i fianchi
-         stesso esercizio, effettuando delle bracciate non alternate ma simultanee (dorso doppio o germanico)
-         nuotare lo stile completo


Metodo globale

L’allievo che abbia superato proficuamente la fase di ambientamento e sappia galleggiare senza timore può essere avviato immediatamente allo stile completo. Principale inconveniente che si noterà applicando il metodo globale sarà la tendenza dell’allievo ad avanzare principalmente grazie all’azione delle gambe, provocando notevoli pause di arresto del movimento delle braccia sia all’inizio che alla fine della passata. Tale inconveniente si verifica perché in certi soggetti vi è differenza nel rapporto di forza tra arti superiori, più deboli e arti inferiori e verrà corretto ad esempio con l’uso del pull-boy (galleggiante per le gambe).





Rana

Arti superiori: rottura dello schema patologico con protrazione degli arti superiori in avanti. Al confronto agli altri stili il corpo assume una posizione meno orizzontale rispetto alla superficie dell’acqua, perché il bacino per agevolare il movimento delle gambe tende ad affondare rispetto alla linea delle spalle, comunque nel movimento della massima estensione delle gambe il corpo ritrova la sua posizione orizzontale.
Il suo insegnamento presuppone una buona capacità coordinativa. In considerazione del fatto che rimane difficile armonizzare di primo acchito i movimenti si utilizza prevalentemente il metodo analitico.
In acqua bassa (vasca da ambientamento) il movimento delle braccia a rana può essere provato con i piedi a terra e il busto flesso in avanti.
In acqua alta spinta dalla parete, scivolamento, quindi effettuare 4 o 5 bracciate con il corpo allineato. Ricordare che la trazione delle braccia non deve superare l’altezza delle spalle, punto in cui si riavvicinano i gomiti.
Per mantenere la posizione orizzontale ci si può aiutare con un tubo galleggiante o un salvagente all’altezza delle cosce o del bacino.

Arti inferiori: In una vasca da ambientamento l’allievo potrà effettuare il movimento delle gambe appoggiandosi sul fondo con le mani, altrimenti si terrà al bordo-vasca. In questa fase statica ci si preoccuperà di insegnare la corretta meccanica del movimento, che una volta appreso gli consentirà più facilmente di passare alla fase dinamica con spinta dalla parete.

Dopo aver imparato i due movimenti separatamente (braccia-gambe) potremo far abbozzare questi movimenti assieme inserendo nel mezzo la respirazione.


Stile libero

L’apprendimento dello stile libero rappresenta una non facile conquista in caso di lesioni di una certà gravità; ad esempio solo alcuni tetraplegici o tetraspastici particolarmente adattati all’ambiente acquatico riescono ad attuare quella serie di movimenti coordinati che portano alla bracciata stile libero con respirazione laterale. Una volta acquisiti  il dorso e la rana, unitamente alla dinamica respiratoria e ai passaggi posturali con le varie rotazioni, è possibile utilizzare l’over (nuotata tipica del nuoto per salvamento, che si effettua su un fianco con il viso fuori dall’acqua) come passaggio intermedio: impostare una nuotata sul petto con il viso in acqua per la progressione, con o senza recupero aereo delle braccia, quindi ruotare parzialmente il corpo sul fianco per effettuare la respirazione, per poi tornare alla posizione iniziale. Non sempre questa dinamica è possibile, in quanto molti allievi se iniziano a ruotare poi non riescono ad arrestare il movimento e si ritrovano in posizione dorsale. Secondo il tipo di lesione occorre variare approcci e strategie; talvolta è sufficiente una piccola variazione o un minimo accorgimento (un galleggiante al posto giusto) per intravedere il percorso adatto.


Delfino

Stesso discorso vale per il delfino, che non presenta problematiche di controllo del rollio, ma che necessita di un’ottima capacità propulsiva nella bracciata simultanea per poi riuscire ad elevare il capo e le braccia nella respirazione con recupero aereo. Anche la battuta di gambe necessita di un buon controllo del tronco e degli arti inferiori. E’ consigliabile, qualora vi siano le condizioni, iniziare con i propedeutici più semplici del delfino senza attendere di aver completato l’iter di apprendimento degli stili precedenti. Questi inserimenti, oltre a variare il contenuto tecnico delle lezioni, servono ad acquisire nuovi schemi motori e – attraverso il movimento ondulatorio del delfino – ancora più fluidità e adattamento acquatico.


Soglia dello sforzo

Per quanto riguarda la soglia dello sforzo, se ne ha una classica manifestazione quando l’allievo in causa presenta crampi, mal di stomaco, oppure torna in schema patologico.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

A)  L’allievo tetraspastico rende di più sulla lunga distanza (sul dorso);
B)   Dopo un affaticamento muscolare segue un rilassamento del muscolo;
C)   Maggiore è il tempo di permanenza in acqua ad una determinata temperatura, maggiore è l’abbassamento del tono muscolare; ne consegue un’ipertonia ridotta per gli spastici;
D)  Si arriva ad una buona coordinazione respiratoria cha va mantenuta per la durata della gara;
E)   Con il rilassamento muscolare si ha una riduzione dell’ipertonia ed un aumento della mobilità con un migliore controllo sui patterns di movimento patologico;
F)    E’ fondamentale un allenamento graduale e progressivo per ridurre la soglia dello sforzo.







L’insegnamento del nuoto – disabilità mentali



L’insegnamento del nuoto a persone con handicap mentale richiede al tecnico un’attenzione particolare, giacché esse presentano una tale variazione di premesse individuali e di norme comportamentali che non si può procedere con indicazioni generalizzate.
Ancor più che nel rapporto con disabili fisici è determinante la capacità di adattare il proprio registro comunicativo in funzione dei bisogni e delle caratteristiche dell’allievo. Il livello relazionale costituisce, come in nessun altra attività didattica, la base della buona riuscita dell’attività.
Lo sport, con il piacere del movimento fisico che stimola una diretta ed immediata spinta motivazionale,  fornisce uno strumento insostituibile ai fini del raggiungimento di una maggiore indipendenza e autorealizzazione, in vista di poter vivere una vita sociale completa.


Obiettivi pedagogici


a)     Il piacere di nuotare

La persona con handicap mentale trova nell’esercitazione sportiva un’attività utile, che la interessa, che le dà uno scopo nella vita. L’incapacità di orientamento può essere sostituita, per lo meno in un settore della vita, attraverso un comportamento impegnato e riconosciuto.

b)    Essere vincenti

Nessun’altra attività si presta così fortemente a dare alla persona svantaggiata occasioni di successo.
Osservare le premiazioni durante una gara di nuoto da occasione di percepire in maniera palpabile il livello di esultanza, come uno scoppio di energia.

c)     Introduzione all’autodeterminazione

Lo scopo precipuo dell’attività è quello di favorire la conquista delle autonomie personali; pur nell’ambito di un’attività strutturata e preordinata occorre promuovere e incoraggiare l’iniziativa singola, dalla scelta delle amicizie nei gruppi alle preferenze dei giochi nei momenti ludici fino alla scelta della disciplina da praticare.

d)    L’acquisizione delle regole

Le norme che regolano l’attività sportiva sono semplici o passibili di semplificazioni, quindi ciò costituisce il presupposto per l’assimilazione delle regole, processo che sta alla base di ogni tipo di integrazione sociale. Se non rispetti la regola vieni squalificato e perdi, se la rispetti puoi vincere.

e)     Socializzare

La frequentazione assidua degli impianti pubblici per frequentare le lezioni o gli allenamenti fornisce molte occasioni di incontro e di relazione, oltre ad essere motivo di costruzione di un menage quotidiano normalizzante, che esce dagli schemi e dai circuiti socio-riabilitativi.



Obiettivi sportivi


Obiettivi sportivi specifici sono necessari a pianificare i contenuti delle lezioni (azioni motorie, giochi, programmi di allenamento). Oltre al miglioramento delle capacità condizionali e coordinative vanno individuati e formulati obiettivi agonistici precisi in funzione dei bisogni, desideri, capacità e aspettative di ogni singolo allievo. Il più importante obiettivo sportivo-agonistico consiste comunque nella padronanza completa e nella continua ripetizione di un gesto motorio. E’ necessario concentrarsi sulla stessa disciplina per un lungo periodo per avere risultati apprezzabili.


Principi metodologici didattici

Lo sviluppo psico-motorio nelle persone con disabilità mentale non ha uno standard legato all’età, ogni allievo deve essere collocato nella sua ”posizione attuale” per capire i suoi bisogni e le sue potenzialità e conseguentemente elaborare modalità didattiche adeguate.
Anche le competenze acquisite vanno contestualizzate: una sequenza motoria appresa in un determinato ambiente necessita di una nuova preparazione se l’ambiente cambia (ad esempio da una piscina conosciuta e familiare ad un’altra). Per ogni mutamento di condizione occorre attualizzare le premesse, proprio per la difficoltà di riportare ciò che è stato appreso in una data situazione.
Il concetto di gradualità dell’insegnamento  deve essere esteso a tutti gli aspetti delle nuove proposte didattiche: ambiente, sequenze motorie, ausilii; se si introduce un nuovo elemento le altre componenti non dovrebbero variare. Spesso inoltre è necessario scomporre una proposta  in pacchetti, gradini più piccoli, articolando e suddividendo un’azione motoria in una serie di passaggi successivi.
La presentazione delle nuove proposte deve riallacciarsi a qualcosa di concreto e familiare; modalità e contenuti vanno ricondotti entro una cornice di riferimento che ricomprenda il vissuto quotidiano dell’allievo, che a volte può essere stereotipato e povero di stimoli. “Impegno”, “applicazione”, “sacrificio” sono parole vuote, astratte, se non c’è un aggancio alle pratiche quotidiane concrete. L’allievo non può “impegnarsi”, può invece essere motivato all’azione attraverso l’utilizzo di stimoli riconoscibili e comprensibili. I nuovi stimoli devono essere inseriti gradualmente nel quadro già conosciuto per avere il tempo di essere assimilati.


Il ritardo mentale e il disturbo di relazione: due modalità diverse

In presenza di ritardo mentale lieve o medio, la tipologia di handicap numericamente più rilevante, la metodologia d’insegnamento segue a grandi linee un’impostazione didattica corrente, fatti salvi i principi di contestualizzazione, gradualità e rispetto del pensiero operativo-concreto.

Se invece l’allievo è affetto da un disturbo di relazione la situazione è più complessa ed è necessario tenere conto di alcuni elementi:

-         la difficoltà di comunicazione: spesso bisogna interpretare i bisogni della persona, a volte anche quelli primari, dato che è incapace di esprimerli; se non si riesce a farlo la persona con disturbo di relazione reagisce nell’unica maniera a lei possibile, il lesionismo o l’autolesionismo

-         l’ambiente esterno è sempre considerato ostile e minaccioso, non può essere compreso ma solo introiettato mano a mano a pezzi e sequenze; pertanto sta all’istruttore renderglielo amico, familiare, immutabile o quasi. I cambiamenti vanno sempre introdotti a piccole dosi, con grande attenzione e cautela.


L’insegnamento a rapporto individuale ed in gruppo

Il primo approccio di avviamento al nuoto avviene di solito in modalità di rapporto individuale istruttore/allievo. Tranne che in casi di handicap veramente lieve si rende necessaria la presenza di una figura di riferimento che introduca l’allievo nel nuovo ambiente. Una volta superata la fase di ambientamento sarà possibile effettuare l’inserimento dell’allievo in un piccolo gruppo, per poi giungere in una fase più avanzata alla costituzione di un vero e proprio gruppo di allenamento.
Allievi con disturbi di relazione difficilmente arriveranno all’ultima fase, costituire un piccolo gruppo rappresenta già di per sé un obiettivo importante, per nulla scontato o facile da realizzare.


L’integrazione con allievi normodotati

E’ sconsigliabile l’inserimento di un disabile mentale in un gruppo di allievi normodotati, per diverse ragioni:

-         la marcata differenza nei tempi e nelle modalità di apprendimento;

-         la discontinuità didattica: se il gruppo avanza di livello spesso l’istruttore cambia e l’allievo disabile si trova senza riferimenti, con la necessità di ricontestualizzare tutto il lavoro fatto sino a quel momento;

-         all’allievo viene preclusa la possibilità di intrecciare relazioni significative all’interno del gruppo; l’istruttore può anche essere molto sensibile ed abile nel mettere in atto dinamiche comunicative, ma ben presto i bambini o i ragazzi stringeranno rapporti tra di loro secondo l’unico criterio valido nella scelta delle amicizie: l’affinità, escludendo chi non comprende i loro scherzi e i loro giochi

L’integrazione sociale avviene ad un altro livello: è la frequentazione stessa di un impianto pubblico che espone gli allievi disabili ad una serie di contatti con persone normodotate, dal personale di portineria agli assistenti bagnanti, agli istruttori, ai genitori, agli atleti ed a tutti i frequentanti in genere.

L’insegnamento del nuoto – disabilità sensoriali

DISABILITA’ VISIVA


Le persone con problemi della vista possono avere dall’attività fisica lo stesso piacere che ne traggono le persone vedenti. Per partecipare con successo all’attività hanno però bisogno di alcuni accorgimenti, come dei segnali acustici o delle persone vedenti che diano i segnali necessari.
L’ambiente piscina con le sue corsie ben delimitate è anche in questo caso particolarmente adatto: l’istruttore guida con la voce l’allievo e con l’aiuto di un tapper (apposito attrezzo costituito da un asta alla cui estremita può essere fissato un supporto più morbido ed elastico, come una pallina da tennis o di materiale plastico espanso) gli segnala con un tocco sulla testa o sulle spalle l’approssimarsi della fine della vasca.
Il cieco introdotto in un nuovo ambiente deve avere prima l’opportunità di esplorarlo e di conoscerne i dintorni. Per farlo familiarizzare con l’ambiente piscina e l’area relativa l’istruttore lo accompagna a fare un giro di perlustrazione, apprendendo attraverso il tatto e l’udito le caratteristiche essenziali.
L’esplorazione deve includere, oltre al bordo della piscina con blocchi e scalette, anche gli spogliatoi, la segreteria, corridoi e scale, in pratica tutti gli ambienti che si troverà a percorrere.
E’ opportuno ridurre al minimo rumori estranei e ostacoli pericolosi, soprattutto se temporanei.
Durante l’ispezione la guida deve offrire come punto di contatto il braccio preferito, normalmente un cieco non gradisce essere condotto per mano. Se ha un buon grado di autonomia potrebbe preferire fare l’esplorazione per conto proprio.


Particolarità delle modalità di apprendimento

L’utilizzazione esclusiva del canale uditivo-tattile per rapportarsi al mondo esterno comporta una modalità di apprendimento di tipo analitico. Il cieco non può abbracciare con un “colpo d’occhio” la situazione che gli si para davanti, la sintesi è impossibile; gli elementi vanno acquisiti analiticamente, quindi in sequenza temporale, ritmica. Bisogna tenere conto che tutto il suo sapere e le rappresentazioni mentali vengono costruiti in questo modo.


Cecità congenita o acquisita

Sussiste una differenza sostanziale fra la persona cieca alla nascita e quella che lo è diventata: la prima può presentare un ritardo mentale in quanto solo in rari casi vengono rispettate le tappe dello sviluppo, proprio a causa della profonda difficoltà di decodificare e classificare un mondo che non si è mai “visto”. Basti pensare al concetto di colore, di paesaggio, di volti e fattezze umane o animali.
Se invece la cecità è subentrata dopo l’infanzia la persona è perfettamente in grado di svilupparsi armoniosamente, integrando con gli altri sensi  una rappresentazione del mondo esterno che già esiste.


Il rapporto con l’istruttore

E’ determinante ai fini dell’apprendimento il rapporto che si instaura con l’istruttore.
La persona non vedente deve decidere se fidarsi o no della persona che ha di fronte senza beneficiare di tutte quelle informazioni che provengono dal canale visivo. E’ comprensibile che il cieco sia di natura sospettoso, deve esserlo in un mondo di vedenti. Inoltre la fiducia è difficile da conquistare quanto facile da perdere; un esempio sull’uso del tapper: una semplice distrazione di qualche attimo può comportare una severa testata contro la parete della piscina. In quale stato d’animo l’allievo non vedente affronterà la vasca successiva?


Indicazioni per l’insegnamento

 Naturalmente il non vedente si basa su afferente acustiche, tattili, cinestetiche e propriocettive.
Devono essere rafforzati i segnali verbali dell’istruttore, che devono essere chiari, concisi e dettagliati. La spiegazione viene rinforzata con afferente tattili disponendo il corpo e gli arti del soggetto nella posizione desiderata. Si può facilitare la comprensione dei compiti guidandogli la mano o mantenendo il contatto corporeo durante la dimostrazione.



DISABILITA’ ACUSTICA


L’handicap acustico viene a torto considerato con sufficienza, in quanto la persona non udente raggiunge solitamente un buon grado di autonomia e d’integrazione sociale. Ad ogni modo le sue carenze non le pregiudicano affatto l’attività sportiva, per lo svolgimento della quale basta sostituire segnali visivi agli eventuali segnali acustici presenti, come ad esempio per lo start la luce che si accende al posto del sistema tradizionale.


Particolarità delle modalità di apprendimento

L’utilizzazione esclusiva del canale visivo-gestuale per rapportarsi al mondo esterno comporta una modalità di apprendimento di tipo sintetico. Il sordo considera la situazione in un tutt’uno contemporaneo. L’analisi degli elementi scandita in successione è impossibile; nella visione gli elementi sono tutti presenti contemporaneamente e così vengono rappresentati mentalmente. Anche il linguaggio gestuale esprime queste sintesi a pacchetti, come tanti quadri completi posti uno di fianco all’altro nello spazio.
E’ il suono che scandisce il tempo in successione ritmica. In un mondo silenzioso questo elemento è assente. Bisogna tenere conto che tutto il suo sapere e le sue percezioni vengono costruiti in questo modo.


Indicazioni per l’insegnamento

L’ideale sarebbe ovviamente conoscere il linguaggio dei segni, ma ciò è molto impegnativo, è come apprendere una lingua straniera. Infatti i non udenti vengono spesso considerati come una minoranza etnica.
Nella pratica l’istruttore di nuoto è comunque facilitato, visto che fa già parte del suo repertorio abituale l’utilizzo esteso della mimica, per comunicare in un ambiente rumoroso ad allievi che hanno spesso le orecchie sott’acqua. Anche la dimostrazione degli esercizi viene spesso effettuata visivamente. E’ comunque opportuno che l’allievo non udente e il suo istruttore mettano a punto una serie di segnali visivi convenzionali, un codice semplificato condiviso anche dagli altri membri del gruppo, non udenti o no.
Gli unici problemi, non insormontabili, si creano al momento di impostare azioni motorie collegate al ritmo e alla frequenza, per le ragioni di cui sopra. Bisogna rendere “visivi” tali concetti, mediante rappresentazioni grafiche o accorgimenti simili.

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